Bruno,
Colizzi,
Tramacere
e Tudisco

Coltivatori
Aradeo (Le)
"La ricostruzione di un paesaggio agricolo, in un contesto di “piazze piene e terre vuote”.

Bisognava risolvere alcune questioni: intanto le proprie vite di giovani donne e uomini, guadando corpi e anime dall’età della spensieratezza e della ribellione fino a quella della presa di coscienza e della costruzione. E poi rimettere insieme i cocci di una cultura dispersa, quella contadina, scacciata come la miseria dalla testa di molti, ma per fortuna non di tutti. E ancora la ricostruzione di un paesaggio agricolo, in un contesto di “piazze piene e terre vuote”, dicono quelli di Karadrà parafrasando il buon Pietro Nenni, forse per scongiurarne l’analogia con la sconfitta dei sogni nel ’48. Aggiungendoci etica e giustizia, che invece nelle campagne del Sud si sono sempre viste poco.

Ma come avverte Franco Arminio: “salutare un vecchio non è gentilezza, è un progetto di sviluppo locale”. Nell’era dell’obsolescenza programmata nemmeno gli anziani servono più. Ma non qui, non ad Aradeo, non per Roberta Bruno, Massimo Colizzi, Roberto Tramacere e Piero Tudisco, che nel dialogo con le contadine e i contadini del paese hanno trovato se stessi e poi aperto una strada nuova fra i canali d’acqua che scorrono fra le terre da cui sono stati adottati. Mostrando una prospettiva inedita ad uno dei tanti territori depressi, a Sud o a Nord che siano.

Perché non conta la latitudine, non conta nemmeno l’età e il colore delle braccia che lavorano. La terra è bassa per tutti. Ma se impari a portarle rispetto, nonostante il paesaggio da film di Tim Burton del post-xylella, la terra continua ad essere amica dell’uomo. Devi imparare a far fronte alla ferocia delle stagioni, sentirti ospite esattamente come i falchi, le faggianelle, le donnole, le tante talpe che danno qualche problema all’orto, le rane, i rospi e i serpenti d’acqua che popolano i canali di Aradeo. “Se c’è qualcosa che questo lavoro ti dà è ridimensionarti rispetto al mondo, al creato”, dice Roberta. Aiutare le piante ad acquisire resistenza alle avversità e poi farsi insegnare da loro come si fa.

Diventare coriacei come un vecchio contadino. Come la buccia del pomodoro d’inverno di Aradeo, un tempo solamente appeso nelle ombre degli orti salentini, oggi icona di una storia che parla sì del recupero di cultivar e pratiche locali, ma che va oltre la narrazione fiabesca. Dopo la rassicurante favola ad uso e consumo dei media c’è l’elaborazione, lo studio, la fatica, e la critica a un sistema che sfrutta, inaridisce, imbestia uomini e terre. Un lavoro politico, vivaddio. Radicale e sfrontatamente allegro. Che incide sul recupero del paesaggio e sul coinvolgimento attivo della comunità locale, e facendo questo guarda a tutte le terre abbandonate e a tutti i contadini dimenticati del mondo.

Il progetto vero è creare qualcosa che vada oltre le vite di chi lo ha creato.
Perché non conta la latitudine, non conta nemmeno l’età e il colore delle braccia che lavorano
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