Luigi
De Santis
Carpignano Salentino (Le)
Nel grande e in parte ancora misterioso mosaico che forma il pavimento della cattedrale di Otranto è l’albero del Bene e del Male, da cui Adamo ed Eva mangiano il frutto che rende peccatori le donne e gli uomini non appena vedono la luce. Lo stesso affrescato da Michelangelo nella Cappella Sistina.
Un frutto antico quanto il mondo, si dice portato in Puglia dai Fenici, che della Puglia racconta la storia tanto quanto gli ulivi. Fondamentale nella storia dell’alimentazione dall’alba dei tempi: “se ho pane fanno da companatico, se non ce l’ho da pane”, racconta Seneca a Lucilio. Il fico ha sempre chiesto poco e dato tanto: si adatta ad ogni terreno, non ha bisogno di molta acqua, regala due frutti diversi durante l’anno, entrambi dolcissimi.
Una tasca di fichi secchi è stato il pranzo dei contadini del Salento durante il lavoro nei campi. Presi dai graticci posti sui tetti delle case e dei furneddhi, le costruzioni simili ai trulli di cui la campagna è popolata, sui cui si mettevano ad essiccare.
“Campagna amara” la chiamavano, e così la chiama Luigi De Santis, che a Serrano si prende cura del ficheto biologico più grande d’Europa, per descrivere quello che c’era prima che cinquemila alberi di fico trovassero posto in questo pezzo di Salento. Sei varietà diverse per la produzione, più tantissime altre coltivate perché il tempo non se le prenda e le cancelli per sempre. Al centro, un luogo d’accoglienza che “più che un resort – confida – è una casa, la nostra casa”.
Un frutto che racconta un passato lungo, di un mondo scomparso, ma che ne lascia intravedere uno nuovo in cui è necessario utilizzare meno acqua possibile e fare agricoltura su qualunque terra un seme possa germogliare.
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