Gaetano
Morella
e Lisa
Gilbee
Manduria (Ta)
Quando ancora non ci credeva nessuno, o forse non più. Quando il flagello subdolo e invisibile del Contributo prosciugava il mare di vigne basse senza sostegno che per secoli aveva corso ad incontrare lo Jonio azzurro. Quando tutti inseguivano l’America, e il progresso significava dimenticarsi della propria cultura al più presto possibile, un contadino pugliese e un’enologa australiana trovarono il proprio posto nel mondo fra i vecchi alberelli di Primitivo di Manduria. I contadini estirpavano e loro salvavano. Pezzo per pezzo, vigna per vigna, alberello per alberello. Salvare le piante per salvare una terra, la sua cultura, la sua identità.
Sarà perché entrambi condividono “il gene del salmone”, come dice Gaetano, che li spinge a nuotare sempre controcorrente. Sarà perché dopo aver girato e lavorato nei più importanti vigneti del mondo si sono accorti che quella roccia affiorante nella terra rossa, il sole di Puglia e le vigne centenarie, le migliori, frutto di una selezione dell’uomo, potevano raccontare una storia unica, irripetibile e irreplicabile. Contemporanea e anche d’avanguardia. “L’amore vecchiu quannu se ‘bbanduna/cu na girata d’occhiu se rinnova”, dice il testo di una pizzica suonata da Ludovico Einaudi. Bastano occhi nuovi, e la frontiera del passato diventa la frontiera del futuro.
Perché, come dice Lisa, “il vino non è una ricetta”. Un vigneto, così come il vino, è un organismo vivente: sa comprendere, e perdonare, e si aspetta che tu lo capisca, e sempre va cercando un vignaiolo che gli faccia da interprete: dalla lingua della vigna a quella dell’uomo. E se, come ha detto qualcuno, il vino può essere un’insegnante migliore dell’inchiostro, quello dei Morella insegna che non c’è realizzazione di sé se non c’è coscienza di sé, e che alle tentazioni del Contributo si può rispondere con una pernacchia, sigla iniziale di una storia d’amore e d’anarchia.
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