Pietro
Zito
Montegrosso (Bat)
La cucina come antropologia. Unione fra la terra e l’uomo sancita dal sacro olio d’oliva, tanto caro a Pietro Zito. Raccogliere e cucinare. That’s it. Nemmeno un passaggio in frigo. Biodiversità anche come conoscenza e rispetto, per la terra ma anche per l’ecosistema umano che la circonda, fatto da produttori di olio e di formaggio, allevatori, mugnai e contadini, veri giacimenti gastronomici. È il suo orto che dice a Pietro cosa cucinare, non il contrario. La bravura sta nell’estrema conoscenza costruita in anni di studio, di osservazione, che lo porta a sapere quando è il momento giusto per cogliere, come mondare bene, come cucinare bene, per esaltare il gusto della materia prima, non per stravolgerlo o soffocarlo. Semplicemente, senza il suo orto Pietro Zito non esiste. Per questo la sua è la cucina dei sensibili.
Una vita spesa contro l’omologazione, perché la biodiversità è il tratto distintivo della Puglia, nelle materie prime ma anche negli uomini e nelle donne che la abitano. Riconoscere il profumo della cima di rapa, del broccolo, dello sponsale. Riconoscere il loro valore. Ricostruire la cultura del gusto per ricostruire la propria identità. Cucinare a Montegrosso, luogo delle sue origini, significa raccontare i pugliesi. Che hanno radici contadine, e anche nel pancotto con le cime di rape è racchiuso il loro spirito.
Come nella cucina della mamma, che è cucina di amore. Se cucini senza amore non sei un cuoco, sei una macchina. “Io sono una puleggia, io sono un bullone, io sono una vite, io sono una cinta di trasmissione, io sono una pompa!”, dice Gian Maria Volonté ne La classe operaia va in paradiso.
Ma non è ricostruzione di un piccolo mondo antico, non è rifugiarsi dalla contemporaneità: ciò che sembrava superato e che si rifuggiva, simbolo di povertà e di fatica, era in realtà il futuro del cibo. E Pietro, l’asceta, il rabdomante del gusto, lo ha percepito prima degli altri.
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