Daniele
De Michele

Food performer,
Otranto (Le)
Il viaggio di Daniele dal Salento alla Francia è coinciso con l’inizio del suo viaggio interiore fra le contraddizioni del mondo.

Antonio Gramsci e nonna Chiarina. Coltrane, i Clash, i Fuzztones. Ernesto De Martino. Luigi Veronelli, Peppino De Filippo e Mario Soldati. Fela Kuti e Karl Marx. I vicoli di Otranto, la baia dell’Orte, le dance hall nel Salento selvatico dei ruggenti anni Novanta, gli stessi in cui metteva dischi a Tolosa, la città meticcia in cui l’economista Daniele De Michele si è trasformato in Don Pasta.

Prima di Masterchef, prima che chiunque lavori in cucina cominciasse ad essere chiamato chef, prima che il cibo diventasse un prodotto dello show-biz. Il viaggio di Daniele dal Salento alla Francia è coinciso con l’inizio del suo viaggio interiore fra le contraddizioni del mondo. Fra contadini ribelli, cucine di frontiera, pastori anarchici per definizione, vignaioli, nonne, zie, osti e cuochi d’Italia. Nei luoghi ricchi senza memoria e nei luoghi apparentemente poveri in cui invece la memoria era una delle ricchezze principali. Un viaggio etnografico, antropologico, che ancora continua e che guarda il mondo “sub specie culinae”, ovvero dalla cucina.

Il gusto come pedagogia, la cucina come dono. Il cibo come frutto di intelligenza collettiva, di informazioni tramandate oralmente che per secoli hanno consentito a chi non aveva niente di nutrirsi meglio di quanto oggi si nutra chi si trova in condizioni economiche e sociali paragonabili.

La cucina come linguaggio universale, esattamente come la musica. E se è vero che il dramma, per dirla col Bob Dylan tanto caro a Daniele, è che “il mondo è gestito da coloro che non ascoltano mai musica”, la soluzione viene dalla prima regola di Don Pasta: “Se hai un problema, aggiungi olio”.

Il gusto come pedagogia, la cucina come dono.
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