Angelo
Di Biccari
Orsara di Puglia (Fg)
Acqua, farina di grano duro e di grano tenero. Far crescere il lievito, comporre le forme. Impastare, segnare con la croce. Infornare, in un forno a paglia con cinque secoli di vita alle spalle. Sei stufe che convogliano il calore verso un foro che è chiamato L’Inferno. Mantenere vivo il lievito, che ha visto passare cinque generazioni. Costi quel che costi.
Ognuno nella vita ha più o meno le sue ragioni per svegliarsi la mattina e darsi da fare. Quella di Angelo Di Biccari è non far morire il lievito che viene dai suoi avi. Sempre nello stesso posto di pietra, che ha un forno di pietra, in un paese di pietra, con volti di pietra seduti sui gradini alla luce gialla dei lampioni. Un tempo era un forno di comunità, oggi è solo il suo, perché è rimasto l’unico a prendersene cura.
Angelo ha volto senza tempo, con sguardo senza tempo, e compie gesti senza tempo. Lo si vedrebbe impastare e infornare mentre fuori dalla porta furoreggia la battaglia a suon di spade fra Spagnoli e Francesi per conquistare la Capitanata, oppure offrire pane agli astuti commercianti della Repubblica di Venezia, e poi ancora sfornare pane durante il Regno di Napoli, e sotto Napoleone, e poi ancora sotto i Borboni. Il suo lievito che ora riempie vecchi frigoriferi ha resistito alle carestie, alle insurrezioni, alla peste, al terremoto. È vivo ma non può morire, non è contemplato.
Angelo fa il fornaio. Come suo padre prima di lui, e prima di lui suo padre, e prima di lui suo padre. E probabilmente come farà suo figlio, e poi suo figlio, e poi il figlio di suo figlio. Perché il lievito madre di Angelo mantiene viva l’anima dei Monti Dauni, e del mondo intero.
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