Alessandro
Candido

Viticoltore,
San Donaci (Br)
Quasi cento anni di storia, in cui molto è cambiato, ma per fortuna non tutto.

La vicenda dei vini di Alessandro Candido racchiude in sé tutta la storia del vino di Puglia: da quando la fillossera fu una tragedia per qualcuno e una manna dal cielo per qualcun altro, passando per i vagoni merci dentro cui viaggiano i diavoli conficcati nella terra del Salento, come sosteneva Vittorio Bodini, fino a quando lo stesso vino ha cominciato a volersi chiamare con nome e cognome. Smettendola di vergognarsi di quello che era, perché da vergognarsi non c’era proprio niente, anzi. 

La storia nuova inizia in un giorno di rivolta del 1957. Chiamato da papà Francesco Candido, dalla verde Irpinia arriva a San Donaci il giovane favoloso. Si chiama Severino Garofano e ha il compito di farsi interprete del Negroamaro. Il resto è noto. La nuova scena del vino del Salento nasce così.

Se lo spirito resta rock’n’roll, lo stile è inconfondibilmente dandy

Come Mick Jagger e Keith Richards affondano le radici nel blues per far germogliare la rivoluzione, Severino e Alessandro hanno piedi nelle terre delle paludi dove crescono le vigne e fanno fiorire il Negroamaro del Salento, quelle dove anche Robert Johnson germogliò. Dev’esserci qualcosa di magico nascosto nelle paludi. E come gli Stones vanno in tournée, per anni e anni: Nord Europa, USA, Unione Sovietica. Terre del Nord, terre del freddo. Ovunque vadano la gente fa centinaia di chilometri per andarli ad ascoltare mentre parlano del sole del Salento, e del suo vento che viene dal mare, e del suo vino. La storia del Negroamaro è questa: una storia dannatamente rock, disruptive e rivoluzionaria, ma dalle radici ben salde nel blues di Muddy Waters: “A rolling stone gathers no moss. / La pietra che rotola non raccoglie muschio”.

E se lo spirito resta rock’n’roll, lo stile è inconfondibilmente dandy. Come col balance dei vecchi amplificatori rigore e umanità sono regolati all’occorrenza nella produzione di rossi e rosati diventati icone, e sbilanciamento controllato e consapevole verso l’umanità nei rapporti con le persone. Perché se un vino è sempre lo specchio di chi lo fa, nel caso di Alessandro Candido questo è un po’ più vero. 

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